Nel 2006 il regista francese Luc Besson, sulla scia del successo della Pixar, decide di portare sul grande schermo, attraverso la computer grafica, la sua trilogia dedicata al popolo dei Minimei. Ecco che quindi nasce “Arthur e il popolo dei Minimei”, pellicola che mescola, come succedeva tanti anni fa, sequenze live action con sequenze animate.
Questo primo capitolo della saga, a cui sono seguiti “Arthur e la vendetta di Maltazar” e “Arthur e la guerra dei mondi”, ci racconta di come il protagonista, un ragazzino del Connecticut di nome Arthur in un immaginario 1960, viene in contatto con il popolo magico dei Minimei, portati dal nonno dai suoi viaggi in Africa. La storia comincia proprio con Arthur che deve ritrovare il nonno scomparso e ritrovare soprattutto il tesoro di famiglia per poter salvare le proprietà dalla confisca. Le vicende della realtà si rispecchiano anche nel fatato mondo dell’animazione. Infatti il popolo dei Minimei, simpatici ometti alti due millimetri e mezzo che vivono nel giardino, devono difendersi dall’attacco del crudele Maltazard, la figura più complessa, emblematica ed interessante della storia, che ricorda, nella sua parabola da buono a cattivo, la figura del Lucifero dantesco.
Il film di Luc Besson non è un capolavoro: si tratta piuttosto di un omaggio a tutto il cinema di animazione fino ad allora mostrato sul grande schermo. L’intento è abbastanza chiaro: omaggiare il più grande cartonista della storia, ovvero Walt Disney. I rimandi e le citazioni alle favole di animazione disneyana sono evidenti e più volte sottolineati durante la narrazione.
Dal punto di vista prettamente visivo il progetto è più che dignitoso. I personaggi si muovono fluidamente, anche nelle scene più movimentate (come fughe in macchinine a molla) o mentre danzano su di un 33 giri, avvolti dal fumo di cannabis, sulle note degli più sfrenata dance music degli anni ’80.
“Arthur e il popolo dei Minimei”, ad oggi, detiene anche un record. È il film di animazione più caro mai realizzato nel vecchio continente: purtroppo gli incassi di tutta la trilogia non hanno mai ripagato Luc Besson dello sforzo fatto.
Davide Monastra